Firenze, 3 ottobre 2008

Quale etica nella discriminazione dell’approccio alla cura?

Dal primo convegno della Consulta Nazionale per la Medicina Integrata: "Le eccellenze in Medicina Complementare"

In Toscana dal 2005 le medicine complementari sono tra i livelli essenziali di assistenza. Altre regioni, poche, hanno adottato provvedimenti specifici in materia. Queste aperture hanno messo in evidenza la grande disomogeneità dell’offerta del servizio sanitario pubblico e della possibilità di accesso su tutto il territorio. Cosa ci manca perché ci sia equità? Accumulare conoscenze è l’unico modo che l’uomo ha per continuare a crescere e per non vivere una vita esclusivamente biologica. E’ il fattore umano che fornisce identità a un’azienda, a un ente. È la cultura che in essa circola che la caratterizza. Non certo strumenti o macchinari sempre uguali a se stessi in ogni luogo e in ogni condizione. Questo può giustificare la disparità di trattamento di cittadini? Cittadini con pari dignità con pari diritto ad avere accesso al servizio sanitario. Sappiamo che purtroppo è così. Condizioni simili hanno generato esiti differenti. Alcune aziende sanitarie hanno riconosciuto il rimborso di cure “complementari”. Altre lo hanno rifiutato. E’ quel fattore umano, quella cultura che circola nell’azienda che determina l’esito differente. E’ quella composizione monolitica di alcuni comitati etici locali che non avanza, che non evolve, che non integra, che determina la differenza. Abbiamo una quantità sterminata di informazioni. Questi saperi vanno gestiti, ordinati e sistematizzati. Maggiori conoscenze hanno consentito alla medicina di essere sempre più dolce e sempre meno invasiva. Un tempo la medicina proponeva interventi altamente mutilanti. L’utilizzo della chirurgia era la prassi per una serie di patologie che grazie alla profilassi e alla diagnostica non è più necessaria. Questo è un percorso inarrestabile. Insieme alle nuove conoscenze tecnologiche, che consentono di avere interventi sempre meno demolitivi e invasivi, i medici riescono ad approcciarsi ai pazienti e alle loro patologie in modo sempre più adeguato e in condizioni che la persona vive sempre più come cura e meno come punizione. Con attenzione alla qualità della vita, in tutti i momenti della vita, dunque anche durante la malattia. Tutto ciò è dovuto senza dubbio all’avanzamento dei saperi medici e molto all’integrazione tra saperi vecchi e nuovi. Se il sapere medico ha dei limiti, utilizzare tutto il sapere a disposizione sposta i limiti un po’ più in là. L’appropriatezza della cura rimane l’unico discrimine che orienta il medico e il paziente verso la condivisione di un percorso di cura piuttosto che un altro. Quanti cesarei o forcipi in meno sono stati utilizzati negli ultimi anni grazie alla diffusione dell’agopuntura? Quanto cortisone in meno grazie all’omeopatia e alla fitoterapia? E quanto ancora meglio potremmo curarci se avessimo un accesso più diffuso e omogeneo su tutto il territorio di tutte le Medicine Complementari? Se è possibile evitare una medicina “invadente” (dal momento che l’invasività non è sempre necessaria) perché dovremmo rinunciare al grande apporto che le medicine complementari hanno dato in questi anni alla sanità, pubblica e privata, e soprattutto alla salute del cittadino? Sappiamo che i costi delle Medicine Complementari sono per lo più inferiori a quelli della medicina accademica. Se è possibile risparmiare denaro per poterlo destinare a più appropriati utilizzi perché non farlo?I nuovi modelli di assistenza parlano di empowerment dei pazienti, ai quali viene dunque riconosciuta una competenza. I pazienti che sono orientati verso un utilizzo delle medicine complementari generalmente hanno un grado maggiore di empowerment, sono consapevoli delle loro scelte. Ciononostante vengono ritenuti da certa stampa e certi luminari, invasati da scientismo positivista, creduloni sprovveduti. Questo atteggiamento, oscurantista e nient’affatto scientifico, oltre che offendere profondamente le persone, limita la capacità umana di avvalersi di conoscenze diverse tra loro tutte a servizio del bene comune e individuale. La Regione Toscana si è distinta negli ultimi anni per lungimiranza. Si è dotata di leggi e strutture, tali da consentire un’evoluzione della medicina da un punto di vista culturale prima ancora che scientifico. Tutto ciò ha fatto sì che culturalmente attecchisse, sia tra i medici che tra i pazienti, il concetto di “integrazione”, che aumenta gli strumenti di cura, piuttosto che quello pericolosissimo di “alternativa” , che tragicamente li dimezza. Non lasciamo ora che la mancanza di coordinamento, tra i comitati etici delle aziende sanitarie o tra enti come le Regioni, tracci un solco tra i cittadini che possono e quelli che non possono. Se il processo culturale in materia di salute potrà evolvere sarà necessario che tutti gli organi chiamati a esprimere parere abbiano una composizione eterogenea. E’ chiaramente necessaria la presenza di medici di medicina generale, medici specialisti, ma non si possono escludere i medici esperti di medicine complementari e nemmeno filosofi, giuristi, biologi, ecc.Sarà necessario che si crei un coordinamento e un orientamento. Il nostro territorio non è poi così grande: le disparità saltano agli occhi. Sarà necessario ritenere il cittadino non oggetto di giudizio ma soggetto di diritto e in quanto tale non può vedersi trattato meglio o peggio a seconda della geografia o, peggio ancora, della tempra che ha nel rivendicare un diritto.

Fonte: Maria Grazia Campus

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