In medicina serve di più la saggezza o la razionalità?

Da “Quotidiano Sanità” del 6 aprile 2016

Choosing wisely o scegliere saggiamente sembrerebbe proporsi come una rivoluzione paradigmatica della medicina  di straordinaria portata riformatrice  nella quale accanto alla razionalità scientifica  prende posto per la prima volta  la ragione. Verstand  e Vernunft  direbbe Kant. Ma è proprio così?

Sciegliendo in modo saggio” questa è la traduzione grosso modo di choosing wisely (choice scelta, wise saggio). Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda  e in un certo senso lo è  perché in fin dei conti  sottolinea il valore del buon senso ma sta di fatto che il concetto di saggezza in medicina non compare  nel giuramento di Ippocrate, né nel codice deontologico dei medici e meno che mai  fa parte dell’apparato concettuale  neopositivista che definisce la scienza medica e neanche nel  metaforico vocabolario  di Slow Medicine dal momento che sobrietà non è sinonimo di saggezza ma di moderazione. Cioè “saggezza” è un concetto epistemologicamente estraneo al nostro usuale apparato concettuale.

All’università non si insegna ai futuri medici ad  essere saggi ma ad essere razionali:
· la saggezza è la capacità della ragione di distinguere il bene e il male, di valutare le situazioni complesse per decidere non il meglio ma pragmaticamente il più “conveniente” cioè il più adeguato alle circostanze,

· la razionalità  è la capacità della scienza  di demarcare  prima di ogni cosa ciò che è razionale da ciò che non lo è, ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che va fatto e ciò che non va fatto,
· la  saggezza è un comportamento morale ed è una virtù,
· la razionalità  è  un comportamento tecnico-scientifico ed è una competenza.

Per cui choosing wisely (d’ora in avanti CW) sembrerebbe proporsi come una rivoluzione paradigmatica della medicina  di straordinaria portata riformatrice  nella quale accanto alla razionalità scientifica  prende posto per la prima volta  la ragione. Verstand  e Vernunft  direbbe Kant.

Ma è così? Purtroppo lo dico con rammarico non è così, del resto i ripensamenti  paradigmatici della medicina non si fanno dalla mattina alla sera. Quindi il termine “saggezza” sembra  un iperbole  cioè una figura retorica del discorso. Ma a parte i paradigmi come scrive puntualmente “allineare sanità e salute” non è tutto rose e fiori (QS  5 aprile 2016)

Per capire cosa sia in realtà la CW dobbiamo prima di ogni cosa esplorare il suo significato di base e poi  confrontarlo e verificarlo con il suo significato contestuale.
Il significato di base si desume dall’uso dell’espressione rispetto al suo  vasto dominio   semantico. CW  è usata nei significati più diversi negli ambiti  del discorso più disparati : esso “mediamente” si rifà alla scelta giudiziosa, corretta, oculata, preferibile, auspicabile, appropriata. Rispetto a questi significati “saggezza” è chiaramente una amplificazione dell’idea di ragionevolezza.

Ma è il significato contestuale che taglia per così dire la testa al toro
. CW è di fatto un importante accordo politico tra il governo americano e i medici finalizzato a ridurre il costo dell’offerta di medicina costo reso ancor più costoso da consumi eccessivi di mezzi diagnostici e terapeutici, quello che viene chiamato “sovrautilizzo” che da noi banalmente si definisce “spreco”. CW rientra quindi  in quelle politiche nelle quali la moderazione dell’offerta  modera la domanda quindi ha gli stessi effetti di un razionamento qualificato del consumo.

La novità vera di CW  è  “come” questo viene fatto. CW  prevede che siano i medici in piena  autonomia  a convincere i malati in modo consensuale circa le cose giuste da scegliere . Da qui nasce l’enfasi sulla relazione  in particolare di slow medicine anche se in fin dei conti si tratta di una transazione  negoziata tra una offerta  e una domanda di cure  i cui costi si vuole in qualche modo ridurre. Da qui un’altra enfasi quella sulla “alleanza”  tra medici e malati una estensione secondo me non priva di problemi ,della famosa “alleanza terapeutica”.

A questo punto c’è da chiedersi “perché” gli americani hanno preso questa strada?
La mia risposta è che ciò sia dovuto al loro tradizionale senso pragmatico cioè alla necessità di raggiungere davvero l’obiettivo del contenimento del consumo di medicina, senza per questo compromettere la credibilità sociale della medicina e del medico.

Questo vuol dire, per quello che ho capito, prima di ogni cosa evitare strade sbagliate quindi sperimentare strade nuove. Gli americani sono partiti da alcune constatazioni di fatto:
· le soluzioni contro il sovraconsumo  tese a disincentivarlo  in modo indifferenziato  con il co-payment, i tetti di spesa, le limitazioni alle prescrizioni, le note limitative non hanno funzionato perché è ampiamente dimostrato che non basta uno standard a cambiare  lo state delle cose.. nella pratica in genere gli standard vengono violati,
· le soluzioni contro il sovraconsumo tese a moderarlo con le line guida, con l’elaborazione di  criteri di appropriatezza, hanno creato un mucchio di difficoltà  perché sono all’ordine del giorno le contraddizioni tra evidenze scientifiche e realtà del malato  per cui in molti casi le linee guida si devono violare (paradosso delle linee guida Qs 14 marzo 2016),
· da ultimo come hanno rilevato anche  Camerotto/Truppo a proposito degli esami di laboratorio (Qs 24 marzo 2016) i risultati delle linee guida sono stati complessivamente  deludenti nel senso che l’inappropriatezza quale sovraconsumo  è rimasta sostanzialmente  stabile.

Davanti a tali dati di fatto è nata l’idea di intervenire sul sovraconsumo, superando le aporie causate dagli standard  indifferenziati  e dalla  medicina  amministrata  e investendo quindi per la prima volta  sulla scelta negoziata tra medici e  malati.

Resta da capire come avviene questo negoziato e su cosa si basa la proposta giudiziosa di consumo che i medici fanno ai loro malati.
Rammento che il problema per i medici  è triplice:
· mediare tra due rigidità quella dello standard e delle linea guida quindi trovare  comunque soluzioni flessibili,
· salvaguardare  la loro autonomia clinica,
· difendere i loro redditi.

Ho già detto che l’idea  è venuta soprattutto alle società scientifiche (QS 26 feebbraio 2016)  le stesse che in Italia sembrano misteriosamente  dissolte (se ci siete ..prego…battete un colpo) soprattutto all’American Board of Internal Medicine Foundation (ABIM) in collaborazione con Consumer Reports e nove autorevoli società scientifiche americane.

CW  la definire una sorta di precettistica medica che collocherei tra la “medicina amministrata” e la “medicina in scienza e coscienza”.
Mi spiego meglio:
· la precettistica  è una esposizione  di principi con un significato normativo,
· il precetto è  come un comando o divieto di compiere una data azione od omissione e che contiene la descrizione del fare o non fare,
· l’atto di precetto(nel diritto civileè un istituto processuale) in medicina è metaforicamente   un’intimazione bonaria cioè non coercitiva  volta a far adempiere al medico  un obbligo risultante da una serie di raccomandazione predefinite.

Come funziona la “medicina dei precetti”? Semplice:
· ciascuna società scientifica elenca 5 prestazioni  definite “top five list” ad alto rischio di inappropriapriatezza che vanno negoziate con i malati,
· il loro grado di appropriatezza o inapproppropriatezza è predefinito con i metodi classici dell’evidenza e della verificazione cari ai nostri lineaguidari.

Se si esaminano le top five list si noterà che i precetti hanno tutti una forma logica negativa del tipo “non fare”:
· non valutare…
· non eseguire…
· non raccomandare….
· non diagnosticare…
· non prescrivere…
· ecc…

Questo vuol dire  due cose:
· che il precetto in realtà è un atto performativo  finalizzato  a far compiere al medico certe cose e non altre ( perform  vale come eseguire)
· che  “non”è un particolare connettivo vero funzionale che in certi casi  inverte il valore di verità della prestazione medica  a cui si applica.
Questo significa che con “non” le top  five list  non si oppongono  banalmente al loro contrario cioè alle operazioni che intendono  proibire  (valutare, eseguire, raccomandare, diagnosticare, prescrivere…. ) ma  semplicemente le negano: negare, infatti, una operazione A, equivale ad affermare la negazione di A. Quindi non A.

Mi scuso se sono stato costretto a spiegare il significato logico  di  negazione, ma la ragione è che  la negazione così come è stata organizzata nelle top five list  sembra  quel certo  tipo di argomento che può  dar luogo ad antinomie e a paradossi, il più famoso di tutti è quello  del mentitore. Le proposizioni neganti  come sono i precetti delle CW  in clinica potrebbero  produrre  le stesse  contraddizioni che esistono tra verità di ragione e verità di fatto, tra evidenza e realtà, tra procedura e complessità  ecc. Ma a parte questo come fa notare con la solita lucidità “allineare sanità e salute” i precetti  che invitano a negare se non supportati da oculate misure di incentivazione potrebbero a loro volta autonegarsi restando “negazioni  di principio”.

Riassumendo: le top five list  sono in realtà degli atti di precetto  che espongono la CW per quanto negoziata consensualmente  al rischio di negare proprio il valore della saggezza. E’ possibile che  davanti alla complessità  clinica  e in mancanza di incentivi  il medico sia indotto  o a “eseguire”  cose poco giudiziose capovolgendo  il buon senso o ad ignorarli perché non gli conviene.

Non dimentichiamo mai la grande questione dell’asimmetria informativa  che esiste tra medico e malato e che in America molti medici sono prescrittori e allo stesso tempo esecutori delle loro prescrizioni  soprattutto diagnostiche. Se il medico diventa “autolineaguidaro” come propone CW pur  dentro una relazione, non vuol dire che il malato  sia al riparo sia da quegli inconvenienti caratteristici del proceduralismo sia da  quelli altrettanto caratteristici del tornaconto personale.

Ivan Cavicchi

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