Il commento all’articolo di Smith su Bioethics

Il contributo di Carlo Di Stanislao

Come era già più volte accaduto, l’articolo recente di Kevin Smith, del Dipartimento di Scienza Contemporanea della Università di Abertay (Regno Unito), finge di esaminare in modo equo i risvolti positivi (pochi e dubbi) e negativi (molti e ben documentati), della terapia omeopatica, partendo da un ”peccato originale”: la validazione secondo i principi della cosiddetta medicina delle evidenze e la citazione di metanalisi e ricerche Cochrane, che basandosi su questi parametri, negano vantaggi reali, oltre l’effetto placebo, per i rimedi omeopatici ed anzi fanno intravedere possibili svantaggi nella ipotesi di sottrarre pazienti a più utili ed affidabili terapie farmacologiche. Il fatto stesso che si esordisca affermando che l’omeopatia si basa su “un paradosso scientifico”, la dice lunga sulle vere intenzioni dell’Autore che, lungi dall’affrontare in modo equanime il problema, si orienta ed orienta il lettore verso una logica conclusione: ciò che è solo solvente non ha alcun ruolo terapeutico. Ciò che di conseguenza deriva da questa articolo “di parte” è che l'opinione non dimostrata degli omeopati, e contraria all'evidenza scientifica in campo chimico, biologico e farmacologico, è che diluizioni maggiori della stessa sostanza non provocherebbero una riduzione dell'effetto farmacologico, bensì un suo ipotetico potenziamento. Cosa chiaramente ed epistemicamente inesatta (poiché ben altra è l’idea dell’omeopata circa i meccanismi inducibili di guarigione e ripristino dell’omeostasi), ma cavalcata strumentalmente verso il conclusivo infingimento: l’omeopatia è inutile e quindi dannosa.

Secondo quanto si legge nella seconda e più significativa parte della presa di posizione (o forse diremmo meglio “levata di scudi” dissimulata dietro ad un equanime e falsificato intendimento), è quanto già riportato da molta letteratura proveniente da Paesi (soprattutto USA e Gran Bretagna), in cui l’escalation omeopatica rischia di mettere il crisi il modello medico e farmaceutico attuale. Cioè, in termini più stretti e stringati, che allo stato attuale, nessuno studio scientifico, pubblicato su riviste di valore riconosciuto, ha potuto dimostrare che l'omeopatia presenti una seppur minima efficacia per una qualsiasi malattia. Gli unici risultati statisticamente significativi sono confrontabili con quelli derivanti dall'effetto placebo, indotto anche dalla particolare attenzione che l'omeopata presta al paziente e alla sua esperienza soggettiva della malattia, e quindi non dal farmaco assunto dal paziente. Questo naturalmente è falso (si vedano a mero titolo di esempio i lavori di Becker-Witt C, Lüdtke R, Weber K, Willich SN. Su, Focus on Alternative and Complementary Therapies 2003; 8: 125 e o di Jonas, Wayne B.; Kaptchuk, Ted J.; Linde, Klaus. su Ann Intern Med. 2003; 138:393-399) e, soprattutto, non tiene conto del fatto che, a parte gli studi immunologici ed ormetici, anche quelli biodinamici di Paolo Bellavite, dimostrano che non solo le evidenze esistono, non solo i pazienti sono soddisfatti e non si sentono in alcun modo eticamente raggirati, ma è possibile intravedere il meccanismo d’azione dei rimedi omeopatici inquadrando i fenomeni fisiologici e patologici come espressioni della complessa rete di interazioni tra l’individuo e l’ambiente e tra i diversi sistemi che compongono l’organismo stesso, portando così un grande contributo alla scienza e consentendo, se si ha davvero animo sgombro e mentalità aperta, un approccio alla problematica della malattia (anzi, del malato perché è ad esso che il medico rivolge la sua prima attenzione) tale da valorizzare al massimo le acquisizioni della scienza moderna, ma al tempo stesso aperto al contributo di altre tradizioni mediche, che hanno alla base una concezione dinamica ed olistica dell’essere vivente. È stato scritto che l’EBM si contrappone ad una medicina fondata sulle opinioni e vuole basarsi su elementi netti ed indiscutibili, sull’oggettività dei dati che descrive la realtà delle cose. Inoltre, essa è nata pretendendo di “rigettare speculazioni teoriche” nell’assunto che “negli ultimi decenni la natura della evidenza scientifica sia profondamente mutata e che la raccolta delle informazioni cliniche e gli strumenti per la loro analisi siano oggi profondamente diversi da quelli che vigevano pochi decenni or sono. Ora, la maniera con cui è usata, nella prassi, questa medicina, avvalora solo una parte di opinioni e, esclusivamente, la parte economicamente più rilevante, tradendo l’assunto stesso di partenza. Come scrive lo stesso Giovanni Federspil, forse uno dei maggiori studiosi italiani di EBM e certamente non uno incline verso le MC, di fatto, oggi la EBM, oltrepassando senza avvedersene i propri limiti metodologici, si è trasformata da una tecnica di analisi dei dati in una vera dottrina epistemologica, che, partendo da popperiane idee osservativistiche e induttivistiche è giunta a conclusioni solo verificazioniste. Ciò che nei fatti resta, di là da articoli detrattivi, dissimulati come salomonici, è la crescente soddisfazione dei pazienti che, in studi che hanno provato a quantificare il grado di soddisfazione soggettiva, hanno mostrato risultati ragguardevoli (ad esempio una ricerca compiuta nel 2004 dalla clinica universitaria Charité di Berlino sulla qualità della vita di 3981 pazienti in cura omeopatica), il che implica un certo grado “etico” di affidabilità della cura omeopatica, come vichiana evidenza, ben sopra e ben oltre l’applicazione di metodiche che descrivono in modo limitato fenomeni ampi e complessi. Niente vi è di meno evidente dell’idea di evidenza, scriveva due secoli fa George Edward Moore, ma forse questo al connazionale Kevin è sfuggito. Dovrebbero gli scienziati moderni, ricordare sempre che l’evidenza deve essere ricondotta più alle convinzioni dell’uomo piuttosto che all’oggetto. Questo carattere dell’evidenza, che si è tramandato fino a Giovan Battista Vico e alle concezioni moderne della fenomenologia, è ovviamente legato al fatto che i nostri pensieri, cioè i pensieri che sono presenti in ognuno di noi, si presentano con il carattere di una maggiore certezza rispetto a quello degli oggetti naturali che sono fuori di noi e dei quali possiamo quindi avere soltanto una conoscenza indiretta, mediata dai nostri sensi. Forse in questo modo guarderebbero con favore alla omeopatia non solo come mezzo, ma come approccio e metodo per allargare il loro sguardo sull’uomo.

Fonte: Carlo Di Stanislao

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